Il piccolo M. manifestava diarrea e dolore alla pancia.
Tempestivamente la madre si recava presso l’ambulatorio medico del pediatra, il quale la informava che era affetto da un normale virus influenzale di stagione e prescriveva un’alimentazione adeguata e l’assunzione di un farmaco (Tiorfix).
Il neonato reagiva molto bene alla cura e i sintomi della diarrea si alleviavano.
Nel corso della notte il dolore alla pancia però si manifestava nuovamente.
Il mattino seguente, la madre contattava telefonicamente il pediatra il quale ribadiva la diagnosi e consigliava la somministrazione di un altro farmaco (Alginor).
La madre seguiva alla lettera i consigli del pediatra ma ciò nonostante i dolori alla pancia continuavano e il mattino successivo si accorgeva che la colorazione della pelle del figlio era leggermente più scura del solito.
Pertanto portava il bambino immediatamente all’ospedale.
All’accettazione veniva inquadrato con un codice verde di bassa criticità con diagnosi di riferite dolori addominali e diarrea.
Alla luce degli eventi il quadro clinico e il codice di accettazione risulteranno errati in quanto la situazione era molto più grave: si trattava infatti di uno shock ipovolemico da gastroenterite acuta.
Nonostante tale quadro clinico non veniva praticata alcuna terapia infusionale e addirittura, si legge nel diario clinico, per difficoltà nel reperire un accesso venoso.
Alle 12.39 l’esame EGA (Emogasanalisi) rivelava uno squilibrio dell’acido-base e bassi valori di PH (pelle disidratata). Nonostante ciò, i sanitari inspiegabilmente non somministravano alcuna terapia.
Alle 17.56 veniva ripetuta l’EGA che evidenziava l‘aggravarsi della situazione e pertanto la necessità di intervenire immediatamente.
Solo alle 18.30 i sanitari provvedevano a inserire in terapia i bicarbonati, vedremo poi, in quantità insufficiente.
Infatti alle 22.23 veniva eseguito nuovamente EGA dal quale emergeva un ulteriore scompenso dell’acidosi metabolica con l’instaurarsi di una progressiva ed inevitabile disfunzione multiorgano.
Il bambino non riusciva ad urinare e, nonostante questo, trascorreva un’ulteriore ora abbondante prima che il piccolo venisse cateterizzato per indurre l’espulsione di acido urico.
Alle 4.25 il piccolo M. non rispondeva più alle stimolazioni, ancora con inspiegabile ritardo, veniva allertato il rianimatore, il quale tentava inutilmente di far riprendere l’attività cardiaca, pertanto alle 4.40 veniva constatato il decesso.
La madre, in seguito, viveva un tremendo dramma per la perdita del figlio e a causa di una grave crisi depressiva perdeva il lavoro con inevitabili ripercussioni.
In considerazione del quadro di shock scompensato, andava garantita una somministrazione generosa di liquidi, e tempestivamente trasferito in terapia intensiva pediatrica o di rianimazione con reperimento di un accesso venoso centrale e costante monitoraggio della pressione arteriosa e della diuresi. Questo avrebbe garantito la guarigione del paziente.
La Cliente era una ragazza madre che aveva vissuto un dramma famigliare gravissimo consistente appunto nella perdita del piccolo di soli 13 mesi.
Aveva tentato di commettere gesti estremi e in conseguenza del gravissimo stato depressivo aveva perso il lavoro.
La nostra sfida è stata rappresentata, in primo luogo, nello stabilire un rapporto empatico con la Cliente. Darle fiducia e speranza che la vita in futuro potesse essere clemente con lei.
In secondo luogo, farle ottenere la meritata giustizia ed un risarcimento dei danni.
Anche se è vero che non gli avrebbe più ridato il figlio perduto, ma quanto meno le dava possibilità di fare un punto a capo e ricominciare proprio dall’elaborazione del dramma.
Questo le avrebbe permesso di vivere in un contesto maggiormente favorevole e sicuro rispetto a quello di chi, oltre a vivere una tragedia, si ritrovava senza lavoro, mezzi economici e famigliari vicini.
La Cliente decideva di procedere, veniva raccolto il mandato e si procedeva a richiedere il parere medico legale allo staff tecnico. Il responso dava esito positivo.
A quel punto, provvedevo ad aprire il contenzioso scrivendo all’ASP competente chiedendo il risarcimento del danno in favore dei miei clienti.
La perizia veniva redatta e inviata all’ospedale su richiesta dello stesso ai fini della valutazione del caso.
Tale fase non si concludeva con un risarcimento ma con il rigetto da parte dell’ASP delle richieste dei miei assistiti. L’ASP riteneva che i propri medici avessero seguito le linee guida e i protocolli allora vigenti e pertanto negavano il risarcimento.
A quel punto richiedevo il parere medico legale sulla quale si fondava il respingimento della richiesta risarcitoria. L’ospedale in maniera del tutto inspiegabile rifiutava di esibire il proprio parere medico legale.
Senza potere valutare se il rifiuto fosse fondato o meno, sono stato obbligato a citare l’ospedale in giudizio. Richiedevo la consulenza tecnica d’ufficio che veniva concessa dal giudice.
Essa sposava la tesi del nostro staff medico legale riconoscendo pertanto la responsabilità dell’ospedale nel decesso del neonato.
Pertanto il giudice del tribunale condannava la controparte al risarcimento dei danni.
Con immensa gioia e soddisfazione dal parte nostra, la madre del povero neonato ha potuto ricominciare una nuova vita ottenendo un risarcimento pari ad Euro 440.000.
Se hai bisogno di aiuto, non esitare a contattarmi. Ti risponderò entro 24h. Oppure, se hai fretta, chiamami ora.
Tel: 320 4144329
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